E’ cosi che, di solito, i piccoli in età prescolare reagiscono alle loro emozioni, quelle più intense che talora provano, ma che ancora non sanno decifrare.
Vi sarà capitato spesso di sentire vostro figlio ricorrere alle vostre cure dopo una caduta, o dopo che un suo compagno gli ha rubato un giocattolo, o quando sta fisicamente male.
Questo è un buon segnale del vostro rapporto con lui: se vostro bambino si dà la possibilità di ricorrere a voi, significa che sa che in voi troverà accoglimento, rassicurazione e protezione.
I bambini corrono al riparo da un malessere che sentono, ma che non sanno come chiamare/gestire, per cui ricercano il loro “nido caldo”da cui essere sostenuti.
Le mamme è bene che siano accoglienti, ma anche che sappiano guidare i loro piccoli verso la comprensione di queste loro emozioni. Ciò, affinché i bimbi, da soli, possano essere in grado di dare un significato a quello che provano, senza spaventarsi troppo, ma dando un senso ed una “lettura” a ciò che stanno vivendo.
I genitori hanno l’arduo compito di fungere da specchi dei loro bambini. Un genitore può infatti dare un nome ai moti interni dei proprio figlio. Accogliendo il proprio piccolo e spiegandogli cosa gli sta accadendo, una madre è in grado renderlo sempre più autonomo nell’autoregolazione emotiva, senza il bisogno costante della figura materna come unica fonte di rassicurazione.
E’ in tal modo che potrà crescere un adulto sano ed emotivamente indipendente. Il che non significa per il bambino non avere talvolta bisogno di aiuto da parte degli adulti, ma neanche di averne sempre un’estrema necessità.
Per esempio, se vostro figlio, non riuscendo ad aprire autonomamente la porta, dovesse rimanere chiuso in bagno e voi lo trovaste a piangere gridando che vuole la mamma, spaesato e impaurito, dovreste certamente rassicurarlo con la vostra presenza. Poi, però, dovreste altresì “rimandargli” quello che gli è accaduto: spiegargli che ha avuto paura perche si è trovato da solo ed ha creduto di non riuscire ad uscire. Magari, fate ciò ponendoglielo sotto forma di domanda e vedrete che, se avrete centrato l’emozione, sarà lui ad annuire. Dopo che voi avrete dato un nome a quell’emozione, o lo avrete aiutato a farlo, lui sarà in grado di riconoscerla. Successivamente, per renderlo più autonomo, insegnategli anche ad uscire da solo dal bagno, aprendo quella porta che lo aveva fatto sentire solo ed imprigionato.
Prima fatelo assieme, poi fatelo fare a lui sotto la vostra supervisione, in modo da poter essere vicendevolmente certi che se la sappia cavare anche senza il vostro aiuto.
Dunque è importante sia il riconoscimento emotivo e la vostra conseguente rassicurazione, sia l’insegnamento di varie strategie di “problem solving”, da applicare nelle varie situazioni, in modo che il bimbo possa essere sempre più autonomo e fiducioso nelle sue sole capacità.
Spesso le mamme sono ben sintonizzate con le emozioni dei propri figli. Talvolta, tuttavia, manca l’abitudine a “rimandare” loro quello che stanno provando internamente.
Invece, per un’autentica autonomia emotiva, è molto importante che il bambino impari a dare un nome a ciò che sente. Ciò per porre le basi verso una maggiore consapevolezza di sé, sempre più definita e chiara. In tal modo, il piccolo, a seguito dell’individuazione dell’emozione che ha originato il malessere, avrà anche gli strumenti per gestirlo da solo.
Dott.ssa Chiara Satanassi
Psicologa e Psicoterapeuta a Bologna
Psicologa Psicoterapeuta
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Iscritta all'Ordine degli Psicologi e degli Psicoterapeuti della Regione Emilia Romagna